PRESEPE IN CAMMINO
Novembre 19, 2018

Prefazione 

Il testo che segue la prefazione, scritto due anni prima del prezioso documento “Laudato si’: lettera enciclica sulla cura della casa comune“di Francesco (Jorge Mario Bergoglio) – Àncora, 2015, viene qui riproposto perché quest’anno, più che mai, sento il bisogno di riflettere serenamente, con misurata preoccupazione, sul senso del Natale e su quanto sta accadendo attorno a noi in questi giorni.

Il nuovo presidente della Provincia di Trento, quest’anno, come primo provvedimento decide di allontanare qualche decina di Profughi dalla residenza di emergenza Fersina di Trento, gettando nello sconforto, non solo gli ospiti, ma anche gli operatori e tutte quelle persone che generosamente da anni operano nel volontariato in Trentino, tanto che le Acli, in una nota dichiarano: «La notizia della decisione presa dal presidente della Provincia Autonoma di Trento, Maurizio Fugatti, ci ha lasciato l’amaro in bocca. Si tratta di una decisione triste. Certo è vero che il “garantire una solidarietà equa e rispettosa delle normative non può ricadere solo sul Trentino” e che questo va fatto presente al’autorità nazionale, ma il metodo usato – farlo sulla pelle di alcune persone in stato di necessità – non è un metodo che possiamo certo condividere».

Per inciso basterebbero queste parole a suscitare dubbi e perplessità, se non fosse che il Presidente Fugatti, con la levità di un elefante dentro un negozio di preziosi cristalli, ha promesso di stanziare cinquanta mila euro per porre i vigilantes davanti alla chiesa di Santa Maria Maggiore, amata dai cristiani dato che ospitò uno dei più grandi concili della storia, ma non priva di “ambiguità” un po più laiche, dato che proprio questo concilio dette origine alla controriforma che nel bene e nel male a segnato la storia di tutta l’Europa.

Don Marcello Farina, il colto e acuto filosofo, dichiara addirittura che è proprio in queste sue parole il nocciolo che maggiormente preoccupa: “difendere la culla della cristianità trentina” infatti è la motivazione data da Fugatti è suscettibile e tocca un tema alquanto sensibile. Anche padrePadre Alex Zanotelli non è rimasto zitto, come molte altre persone di buona volontà. Su tutte però spiccano le imbarazzate riflessioni dell’arcivescovo di Trento Lauro Tisi che scrive a tal proposito: “Mi rattrista profondamente che un luogo di culto, e in particolare la basilica che ha legato il proprio nome a uno dei Concili più importanti della storia, rischi di finire al centro di qualsivoglia strumentalizzazione. È un’eventualità che scongiuro con fermezza”. Il indaco di Trento Alessandro Andreatta, colto di sorpresa non si è ancora espresso: la questione scotta e si teme un contagio mediatico che non gioverebbe di certo al buon nome della diocesi.

Naturalmente tutto ciò non sarebbe successo se a Roma l’ anti-umanitario Dl sicurezza, che ha firmato Matteo Salvini, non fosse passato dopo le promesse che infiammarono tutta la campagna elettorale. Così Gino Strada, fondatore di Emergency descrive il decreto senza mezzi termini: “Penso che sia una forma di razzismo e di fascismo. Sono sicuro che questo decreto non passerà senza conseguenze e che porterà sofferenze in più per un sacco di gente perché si restringe di fatto la possibilità di aiutare le persone e questo è molto grave”.

Come se tutto ciò, non toccasse minimamente le corde umanitarie di coloro che plaudono o si indignano per queste iniziative, col candore di un sacrestano di paese il Presidente che ricopre una delle massime cariche civili dopo le ultime elezioni, scriverà una lettera ai dirigenti per’invitarli (come ha già fatto nella sua relazione programmatica in consiglio provinciale), a considerare la possibilità di allestire negli edifici pubblici della Provincia e in ogni scuola del Trentino, il presepe.

Ci si chiede con che coraggio si difende una tradizione che è fatta sostanzialmente di simboli e immaginette di cartapesta senza avere il minimo scrupolo verso le persone che il bimbo nato povero fra i poveri rappresenta per i cristiani e forse non solo per loro. Probabilmente S. Francesco a Greccio nel 1223 non avrebbe mai immaginato che il suo presepe avrebbe avuto questi risvolti paradossali.

Concludo con la forte provocazione il don Paolo Farinella, parroco di San Torpete, che accusa: se Gesù si presentasse da noi “col decreto immondo di Salvini, sarebbe fermato alla frontiera e rimandato indietro perchè migrante economico” .

Il clima buonista, incalza don Farinella, “domina il tempo natalizio, tra babbi-natale, buoi, asini, befane e zampogne”. E i cristiani “sono complici del degrado di natale, perché la memoria della nascita di Gesù non c’entra nulla con questo natale, trasformato in saga paesana di abbuffate tra regali e presepi, mentre accanto ‘i poveri cristi’ muoiono di fame e freddo in mare, nei bordelli della Libia, pagati dall’Italia, che fomenta le guerre con l’immondo commercio delle armi, da cui ricava illeciti guadagni”. Il cibo “si butta via, mentre sulle stesse strade ‘Gesu’, il migrante dei migranti’ muore di fame e di freddo”.

E il bambino camminava, avvolto nell’ aria fredda e antica di una recente
solitudine; non ricordava da dove fosse venuto, eppure…, com’ era
cosciente di essere vicino alla memoria, com’ era intenso quell’ odore di
timo che s’innalzava dalle pietre cercando di ricondurlo, non foss’ altro che
con la mente, sui propri passi.”
Oscar Simonetti

Premessa

Il 28 Dicembre 2013 la cometa Ison si è resa visibile a occhio nudo vicino alla costellazione della Vergine, quasi ad inverare le parole del Protovangelo di Giacomo:“…stavo camminando ed ecco non camminavo più. Guardai in aria e vidi che l’aria stava quasi attonita, guardavo la volta del cielo e la vidi immobile e gli uccelli del cielo erano fermi […] e insomma tutte le cose erano distratte dal loro corso”.

Quella notte accanto alla fonte del borgo, nella chiesetta romanica di S. Pietro in Vincoli in “Campo” (VR) il presepe,da me proposto nel DICEMBRE 2013, è stato realizzato su un piccolo albero spoglio carico di pecorelle allineate sui rami e dirette verso il nido al centro, dentro vi è adagiato un bambino. Un bambino arrivato attraverso la mulattiera che si dirige verso il paese con su di una piccola portantina. I Canti della Stella del gruppo vocale Gaudeamus” lo hanno accompagnato lungo il cammino. “Campo” il piccolo borgo diroccato di origine medievale, incastonato fra le rocce, gli ulivi, il timo e i lecci, sulle pendici gardesane del monte Baldo deriva il suo nome  da un’ incredibile abbondanza di significati: porzione di terreno coltivato o adibito a pascolo; area delimitata per attività diverse; settore di studi; accampamento militare; piazza veneziana, sfondo araldico; zona elettromagnetica, spazio che si abbraccia con l’occhio o con un obiettivo. Il minimo comune denominatore di questi significati è il concetto di spazio che chiude al suo interno qualcosa; proprio come il nome presepe che secondo alcuni indica un luogo che recinge.
Dunque Campo, presso Brenzone a debita distanza dai flussi della gardesana e dei mercatini natalizi, sembra quasi vocato intrinsecamente ad ospitare i presepi. 

Il piccolo borgo diroccato di origine medievale, incastonato fra le rocce, gli ulivi, il timo e i lecci, sulle pendici gardesane del monte Baldo deriva il suo 

Origini del presepe


Per capire il tema del mio lavoro, incentrato sul percorso e sul cammino , più che sull’idea di un nido domestico stanziale, dobbiamo considerare che il Natale, coincidente con il Solstizio d’inverno, ha sviluppato riti e credenze popolari molto antiche, su cui si sono innestate le tradizioni cristiane. Solo per ricordarne alcune: l’albero, il presepe ed i canti della Stella. Il taglio della riflessione posta in essere, prende spunto dal mondo pastorale e contadino, indice del rapporto fra la natura e il villaggio, allusione al rapporto più ampio fra physis (intesa come ‘natura’, nella filosofia dei Greci) e il nomos (inteso come “legge della polis”), fondamento, forse oggi in crisi, della civiltà occidentale e del nostro vivere quotidiano.


Fatta questa premessa nell’ accostarci a questo tema non possiamo prescindere dalle parole del Vangelo di Luca (2,1-7): “In quel tempo uscì un decreto da parte di Cesare Augusto, che ordinava il censimento di tutto l’impero. Questo fu il primo censimento fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi registrare, ciascuno alla sua città. Dalla Galilea, dalla città di Nazaret, anche Giuseppe salì in Giudea, alla città di Davide chiamata Betlemme, perché era della casa e famiglia di Davide, per farsi registrare con Maria, sua sposa, che era incinta. Mentre erano là, si compì per lei il tempo del parto; ed ella diede alla luce il suo figlio primogenito, lo fasciò, e lo coricò in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo”.  
E’ forse questo il testo di maggior importanza all’origine delle sacre rappresentazioni che si tenevano nelle chiese in occasione del Natale, alle quali è probabilmente da collegare anche il presepe vivente ricostruito da S. Francesco a Greccio. Il racconto evangelico giunge dal Medio Oriente, come dall’oriente provengono le spoglie dei tre Re Magi (su cui bisognerebbe aprire un capitolo a parte). Ospitate a Milano fino al 1164, e poi traslate a Colonia con un corteo attraverso le Alpi (traslato Imperii) esse sono tuttora ricordate in Alto Adige dalla abitudine di scrivere nel tempo del Natale le iniziali C + M + B, attribuibili forse alle iniziali di Casparre Melchiorre e Baldassare. In omaggio alla stella che li ha guidati durante il viaggio verso Betlemme, le Beganate, dette anche Canti della stella (originatesi a Nord delle Alpi – Hans Moser), sono canzoni contadine tradizionalmente rievocate di casa in casa, di presepe in presepe durante le festività del Natale per raccogliere doni. Caratterizzata dalla luce (la sostanza della rivelazione dell’Angelo che annuncia la nascita di Gesù – Lc. 2, 8-20), la rievocazione della natività è uno dei temi maggiormente rappresentati
nell’arte sacra, si diffonde in tutta Europa e si rinnova di epoca in epoca, prendendo forma di ricostruzione plastica e poi raffigurazioni pittorica della Sacra Famiglia. Il nascituro destinato a cambiare la storia, in Matteo (2, 1 -12) viene descritto come: “piccolo bambino dall’origine incerta
e dal futuro ancora più fosco, nato in un contesto tutt’altro che rassicurante, ai margini della città e dunque della civiltà” (Paul Rener, 2004).
Assieme agli animali, che offrono interpretazioni simboliche di vario genere, fin dai primordi della narrazione cristiana egli è venerato dai Magi venuti dall’oriente per rendergli omaggio; in contrappunto gli umili ignoranti pastori compaiono nelle rappresentazioni solo sul
finire del quattrocento caratterizzano con la loro presenza il gusto per le scene quotidiane che diventeranno una moda nel maturo cinquecento. E’ la natura o meglio il paesaggio che ospita tutti questi personaggi ad attirare maggiormente la mia attenzione. Mi ha colpito in particolare un
piccolo prezioso dipinto, appartenente alla quadreria di Rovereto che ho potuto osservare molto da vicino: Natività di Gesù entro un paesaggio di Vittone Belliniano. Sola senza alcun angelo ne  pastore, la famiglia di Gesù accanto al bue e all’asino è immersa“in una natura dolce e accogliente in cui vivono inoltre figure (lontane) colte nella vita quotidiana, mentre sullo sfondo torri e montagne trascoloranti di azzurro, per effetto della lontananza, si stagliano contro un cielo dorato dal calare del sole e striato da nuvole leggere che ravvivano la composizione densa di vibrazioni”
(Paola Pizzamano, 2013).







Pieter Bruegel il vecchio


Una natura che, secondo me, trova è ben rappresentata nell’immagine dell’albero spoglio e solitario dentro il quadro “Il censimento di Betlemme” di Pieter Bruegel il vecchio – 1566, preannunciante la croce del cristianesimo. Un albero che ancor oggi nei paesi del nord, e non solo,  è addobbato di luci e colori, durante il Natale, emblema laica del legame reciproco tra Terra e la sfera celeste, nonché simbolo arcaico della nascita e del divenire del cosmo.
Fra le miriadi di rappresentazioni, questo quadro è particolarmente significativo, in quanto introduce in maniera esemplare il tema del paesaggio: nel quadro infatti possiamo leggere l’umanità contadina di un villaggio medievale descritta fin nel minimo dettaglio, fra neve ghiaccio alberi spogli illuminati da un sole basso sulla linea dell’orizzonte invernale.

A differenza del pittore belliniano, di cui si parlava poc’anzi, riferendosi ai primi versi che introducono il racconto dell’avvento di Luca, Bruegel coglie Maria e Giuseppe fra la folla, nel momento in cui si recano al censimento: “tuffati nel flusso della vita, spersi nella folla indifferente, comuni anonimi, non ancora nella storia” (Giovanno Arpino, 1967).
Pur senza cedere all’immagine di un Medioevo tutt’altro che oscurantista, come ci ha insegnato Jacques Le Goff, mettendo a confronto il primo paesaggio (del Bellini – scuola italiana) con il secondo (Bruegel – di scuola fiamminga “tra grani e faggi, tra querce e giaggioli, tra fieni e
miti pecore e dolci covoni e acque in riposo e ghiacci virginali”), vediamo in Bruegel un mondo ancora alle porte della modernità, simile ad un medioevo in cui la natura è nemica, la fede è irrisa, la superstizione, la paura e l’assenza di moralità trionfante.
Con il rinascimento italiano finalmente emergerà un uomo “libero e sovrano artefice di se stesso” (Pico della Mirandola), capace di conoscere e dominare le forze della natura attraverso la visione prospettica e matematica. Oltralpe nei quadri del fiammingo Bruegel ciò non accade: la prospettiva è quasi assente ed anche la consolazione della bellezza naturale mostra le sue ombre. “Il fiore di Bruegel è il cardo, solido, spinoso, concreto”, assai diverso dalla rosa o dal giglio del Mediterraneo. L’uomo, la donna, il contadino, il soldato, il mercante, sono spesso rappresentati nella loro manifestazione peggiore. Solo il pastore, che giace ai bordi di una tela immune dalla
corruzione, indifferente a miti e leggende, contempla silenzioso la natura. A differenza del San Francesco umbro, egli, se non fugge indifferente alla razzia del suo gregge, al massimo ne diviene vittima come si vede nelle due tavole del Cattivo e Buon Pastore.
Sempre in Bruegel, nel dipinto “Danza dei contadini”(1568) in cui si vede sostare su una forca la gazza, simbolo del vano chiacchiericcio, circondata da uomini e donne che ballano goffamente indifferenti alla bellezza dei paesaggi naturali e destinati a scivolare verso il basso come i ciechi nella celebre tempera su tela intitolata appunto “Parabola dei ciechi”. Quest’ultima opera ispirata alle parole di Matteo e Luca: “Se un cieco guida un altro cieco, entrambi cadono in un fosso”, (XV 14; VI 39). Tutto in questo grande artista sembra presagire l’inquieta epoca in cui ancora viviamo: una epoca scissa fra la concezione di un mondo naturale libero e la concezione di un mondo cinto dalle mura del dogmatismo delle istituzioni, ben rappresentate dal Censimento imperiale di C. Augusto. Triste presagio che condivido e cerco di esorcizzare con il piccolo presepe di Campo

Possiamo sperare?


Forse anche oggi l’uomo contemporaneo, cieco e privo di una guida, balla accanto alla propria forca incapace di credere in se stesso o in un’entità superiore. Incosciente dei limiti ecologici e delle avversità di una natura in cui ogni elemento è connesso, respira inconsapevolmente un senso di deriva apocalittica, impossibilitato a rispettare e sostenere il suo habitat secondo una logica di condivisione e collaborazione. Scrive Robert P. Harrinson: “le istituzioni che governano l’occidente – la religione, la famiglia, il diritto, la città – sono nate in opposizione alla foresta, che sotto questo aspetto sono state, fin dall’inizio le prime e le ultime vittime dell’espansione della civiltà”.

Non c’è dubbio che i problemi che abbiamo di fronte sono il risultato di processi antichi. All’origine ci sono cause più o meno remote” (Piero Bevilacqua 2008). Millenni di dominio sulla natura – biblicamente ben rappresentata con Caino stanziale che uccide Abele nomade, l’apoteosi di
Roma città che trionfa sulle foreste, i disboscamenti degli ordini monastici, le varie rivoluzioni industriali che si sono succedute, l’abbandono della campagne e la perequazione delle risorse (in primis l’acqua e poi le
fonti energetiche) mostrano ora conseguenze nefaste.


Chiuso nei confini di una biosfera, dalle risorse limitate in cui prevale il “disincanto dal mondo” teorizzato da Max Weber, l’uomo contemporaneo vive il tempo biologico in distonia con il tempo storico (Gilles Clement); è succube di un potere globale dissociato dalla politica locale; di una finanza che nulla a più a che vedere con l’economia di mantenimento del passato, perso nel vortice della “diasporizzazione” amaro frutto dell’iniquità della cupidigia. Sembrerebbe trattarsi di un epoca simile ad un nuovo instabile e prolungato interregno, cioè di quel periodo di vacanza del supremo magistrato o del Re sperimentato per la prima volta alla morte del primo Re di Roma (Zygmunt Bauman). Alla luce di ciò, scrive don Marcello Farina “C’è una grande domanda che attraversa gli ultimi duecento anni della storia del pensiero dell’occidente: che cosa posso sperare?”. Domanda a cui oggi si è sostituita l’altra domanda: “perché posso sperare…? Quasi a sottolineare la
difficoltà di rappresentarsi un futuro possibile”.

Kenosis


Ma torniamo al Presepe e cioè a quella novella di speranza nata assieme al piccolo infante di Betlemme, immersa in un paesaggio naturale sospeso fra le urla di un’umanità in cammino sulla terra e il silenzio del cosmo. Il rapporto fra creatore e creato è per i credenti fondamentale per
ragioni che vanno ben oltre la mera sopravvivenza della carne. Nel racconto della creazione “Il signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino dell’Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gen. 2,15).
Nel “Cantico delle creature” questo fatto è lode a Dio dato che in questa cura è riflessa l’immagine dell’amore del Creatore di tutte le cose: anche la creatura più umile è elevata al rango di custode del creato. Se nel 1200 la considerazione della natura arriva a livelli così alti, come possiamo oggi prescindere dal considerare la sostenibilità della natura e  conseguentemente dell’uomo al centro della nostra vita?

Considerando inoltre il Concilio Vaticano II scopriamo come l’ “umanità laica” del presepe può ampliare i suoi confini, uscire dal recinto di cartapesta dorato e divenire lode ‘nel’ e ‘col’ mondo. La tenerezza e l’amore per il presepe rappresenta la metafora di un’amore molto più grande.
La posta in gioco non è di poco conto: non dimentichiamo che il fulcro di tutta la questione di fede, prima ancora della resurrezione è l’incarnazione e cioè, quel miracolo cosmico detto Kenosis con cui, attraverso l’annuncio dell’Angelo a Maria, si dà inizio al'”auto svuotamento” del divino che
lascia tutti con il fiato sospeso. Come dice Giovanni: “In principio era il Logos e il Logos era presso Dio e il Logos era Dio. E il Logos carne divenne e pose la sua tenda in mezzo a noi ” (Giovanni 1, 1.14).
Fallire sul piano ecologico significa fallire in tutti i sensi e forse far perdere la grande scommessa di Dio! Un Dio, come ci insegnano Padre Maria Turoldo e Alex Zanotelli, non è infallibile, ma soffre con gli uomini e le donne le doglie della creazione.

Conclusione


Come abbiamo visto sopra, i temi che il presepe affronta non sono affatto banali, anzi sono cosi fondamentali da far tremare le ginocchia. Navighiamo a vista con l’urgenza di interpretare ogni giorno la rotta che dobbiamo prendere senza la luce della stella, ma solo facendo leva, sulla fede per taluni e sulla ragione che fino ad ora, ahimè riguardo a questi temi non hanno dato grossi risultati.
Forse l’architetto e filosofo del paesaggio francese G. Clement coglie il vero nocciolo della questione quando scrive che per “interpretare le invenzioni della vita” e “assecondare le nostre capacità di autoregolamentazione” bisogna essere un po maghi ed io aggiungerei un po poeti.
Per questo si è scelto di porre al centro l’antico rito del presepe in un’opera d’arte contemporanea: recuperando l’insegnamento di San Francesco, si anela a quella universale anelito di fratellanza reale fra l’uomo e tutto il creato, attraverso attenzione sollecitudine, affidamento e cura non distante dall’ idea di quell’ economia del “giardino planetario”, un tempo paradiso terrestre, tanto cara Gilles Clément; purché, egli insiste, il nostro agire sia consapevole e limitato al fare il più possibile “con”, il meno possibile “contro”.
Fra le mura diroccate e abbandonate in un paesaggio meraviglioso della costiera Gardesana tanto cara al geografo Eugenio Turri (1927/2005), “Campo, dei presepi”, come una baia appartata, ci può forse aiutare, se non a trovare la rotta, almeno a sostare un attimo per metterci in ascolto silenzioso del “gemito della creazione”.

BIBLIOGRAFIA:
Giovanni Arpino, Piero Bianconi. L’opera completa di Brugel. Rizzoli Editore, Milano 1967.
Bevilacqua Piero, La Terra è finita. Breve storia dell’ambiente. Laterza 2008
Lia Camerlengo, Oro, Incenso e Mirra, Visite di Magi e Pastori nelle collezioni del Castello del Buon Consiglio.
Nuove Arti G, Trento Grafiche 2002.
Gilles Clément, Giardini, paesaggio e genio naturale, Quodlibet 2012.
Anna Maria Finotti, Il canto degli alberi, Dall’albero di Natale all’albero della vita. Ancora, 2006. Mara
Kutinceff Pancheri (a cura di). I Magi; Dall’oriente all’Europa attraverso le Alpi. Edizioni Pancheri, 2004.
Oscar Simonetti, Saer Palfi, Storia di un cavaliere contadino. Keltia Editrice, 2002.
UCAI, Epiphaneia, la speranza e il perdono, Vita Trentina Editrice 2006.
Alex Zanotelli, I poveri non ci lasceranno dormire. Da Korogocho al Rione Sanità. Monti 2011. Bruno Forte,
Trinità per atei, Con interventi di Massimo Cacciari, Giuglio Giorello, Vincenzo Vitiello. Raffaello Cortina
Editore, 1996.
http://www.ctgbrenzone.it/oscarloscrittore.htm /http://www.quodlibet.it/schedap.php?id=2105#.UnjUDPndfzw