Il tiglio di Prà dell’Albi-Cei
Dopo due anni di sospensione per aderire e non interferire con la passeggiata “Girovagando in Destra Adige”, che ques’anno si farà in autunno, la proposta dell ‘Associazione Lagarina di Storia Antica in collaborazione con altri amici ha riproposto l’evento anche quest’anno il giorno 8 giugno 2019. In questa occasione a nome del Circolo Culturale Ricreativo Sasso anch’io ho portato il contributo che segue.
Quando ci si accinge a parlare di alberi dal punto di vista culturale, ancor prima di conoscerne le caratteristiche botaniche e storiche, capita spesso si attingano idee e notizie dalle fonti mitologiche, dalle narrazioni popolari e, non per ultimo, dai cosiddetti miti di famiglia; perché non esiste argomento più caro di questo per indagare la natura e le sue relazioni con noi stessi, di cui gli alberi non son altro che lo specchio fedele.
Mario Bolognese nel libro “Amor di Albero“, a proposito del tiglio, pianta sacra ad Afrodite, scrive: «Questo albero, soave e possente ad un tempo, rappresenta grazia e femminilità in molti miti e culture. […] Erodoto racconta che tra gli Sciti (area euro-asiatica) c’erano certi uomini-donna che sapevano profetizzare arrotolando e srotolando tre cortecce di tiglio tra le dita delle mani».
Diffusa sopratutto in Europa, la Tilia platyphyllos è abbastanza presente anche in Trentino. Sembra che nel Tirolo i tigli, posti al centro dei villaggi o accanto alle chiese, ospitassero sotto le loro fronde le riunioni dei capifamiglia. Gloria Canestrini nel suo libro che raccoglie le leggende e le storie che riguardano il Lago di Cei e le località circostanti dal titolo “Il Giardino delle Ninfee e altre storie” gli dedica un capitoletto. Per noi piccoli della mia famiglia i tigli erano di casa, quelli sopravvissuti si vedono ancor oggi dalle finestre. Inoltre proprio la pianta secolare di Prà dell’ Albi era l’emblema misterioso di questa specie arborea perché spesso citata dagli uomini nei loro racconti; quasi a volerne dominare metaforicamente la magica imponenza narravano della necessità di trattenere i suo vecchi rami con forti catene, altrimenti sarebbero precipitati al suolo a causa del vento e della neve. Aimè, però non ebbi mai la fortuna di vederlo di persona, dato che il primo grande ramo cadde già negli anni ’60 mentre il tronco si è schiantato definitivamente al suolo sul finire degli anni ’80, prima che io mi recassi sul posto.
rà dell’ Albi si trova sulla strada che dal Lago di Cei porta a Cimana (altitudine 955 mslm); una delle secolari piante vive ancor oggi: magnifico esemplare di una vasta colonia distribuita su un areale che comprendente anche la località di Daiano e Cormaiano. Essa è l’erede o forse coeva del Grande tiglio morto il secolo scorso nei primi anni ’80. Altri ve ne erano sparsi per tutta la Vallagarina da Rovereto all’ex convento di Sasso. Come si vede dalle foto tratte dalla rivista “Il Borgoantico” di Villa Lagarina, il nostro tiglio è stato un esemplare imponente, si può paragonare la sua dimensione alla pianta ancora in vita accanto alla fontana. Quest’ultima ha una circonf. (a m. 1,30) di circa m. 5,30 e una altezza che probabilmente supera i 20 m – età presunta anni 200. Uno di essi, più che centenario, con i suo 4 metri di diametro lo abbiamo a Marano d’ Isera; purtroppo rischia di essere abbattuto per questioni di sicurezza, o forse a causa dell’incuria e dell’inquinamento. Non dimentichiamo che il tiglio in ambiente naturale è un albero che può raggiungere anche un’altezza di 40 metri, durata anche fino a 250 anni tanto che in alcune culture germaniche antiche era considerata sacra proprio in virtù di questo suo ciclo vitale particolarmente lungo.
Interessante è anche l’origine della fontana che ancora oggi si vede vicino alla pianta e la cui acqua nutre le sue radici: si narra che nel 1887 l’ inverno molto rigido abbia fatto ammalare molte persone, ed un conte, il cui figlio era gravemente ammalato, lo portò a vivere nel caseggiato rurale vicino per alcuni mesi. Dopo la guarigione del figlio egli la fece costruire per ringraziamento.
Le proprietà curative dei fiori e dell’Alburno del tiglio, estratte dalla parte del tronco più giovane, erano già note alcuni secoli or sono, anche nel ex convento di Sasso i bellissimi gelsi svolgevano le loro funzioni, oltre al fresco della loro ombra fornivano i rimedi fitoterapici. Ricordo con nostalgia il periodo in cui con mia madre e alcune suore ci si recava dalle parti di Daiano per raccoglierne i fiori che consideravano più puri di quelli a valle, dato che non c’erano i trattamenti che si danno alle viti e il fresco della notte d’alta quota lì rinvigoriva. Il profumo intenso che le piante emanavano in primavera si conservava anche l’inverno nella fragranza delle tisane che le donne ci preparavano per difenderci dai malanni invernali. I suoi semi particolarissimi, adatti a farli volteggiare e planare verso il terreno roteando vorticosamente, sono sempre stati fonte di meraviglia infantile.
E’ grazie a queste narrazioni legate a questo albero che questa zona fu meta di gite e visite che provenivano da ogni parte. Inoltre sotto le sue fronde si trova ancora una pietra su cui sembrano esserci delle antiche “coppelle”: manufatti di difficile datazione e definizione, presenti in numerose zone anche molto lontane tra loro. Ci piace pensare che possa esserci una correlazione fra di loro, il grande albero di tiglio, la presenza di acqua e il sito su cui sorge la chiesetta di S. Martino, legame di cui si narra in alcune leggende locali, pare che gli eremiti si recassero nelle notti di plenilunio presso l’albero per i loro riti. Infine non dimentichiamo che il tiglio come le querce ospita il vischio, una pianta sempreverde epifita, parassita di numerosi alberi, soprattutto latifoglie come ad esempio pioppi, querce, tigli, olmi, noci. Quello che veniva raccolto dai druidi con il falcetto d’oro e che noi ancora appendiamo come segno augurale, lo stesso augurio con cui questo luogo ci accoglie.