La ribalta è il bordo del proscenio, nel teatro la quarta parete, la parte più protesa verso la platea; essa delimita il palcoscenico stesso, prima del golfo mistico. Da qui forse il termine ribaltare: rivoltare, capovolgere, fare assumere una posizione contraria o opposta rispetto a quella normale o precedente.
Se gridiamo una parola le onde sonore si diffondono con la potenza di un megafono, oppure si infrangono contro le pareti circostanti e vengono riflesse all’indietro. Perché il nostro orecchio senta distintamente sia la parola gridata da noi sia quella riflessa, è necessario che il tempo impiegato dal suono riflesso per raggiungerci sia di almeno un decimo di secondo. In questo lasso di tempo il suono percorre circa 34 metri, quanto basta affinchè nel baricentro della piazza del MART l’eco si amplidichi esponenzialmente e ci faccia vivere l’esperienza immersiva dell’Eco a 360 gradi da ogni direzione facendoci perdere l’orientamento spaziale.
Purtroppo però il microfono in questione, da megafono si trasforma in qualcosa che sta al suo opposto e ci fa vivere un delirio di onnipotenza solo apparente che non supera i confini del Museo trasformando la performance in un fenomeno autoreferenziale e sostanzialmente piccolo.
E’ la metafora di una curva narrativa autoreferenziale che sembrerebbe descrivere ciò che l’arte contemporanea è stata negli ultimi decenni?
Forse è ancora presto per dirlo resta il fatto che questa immagine, così iconica, è forse l’unica che può dare contezza di questa ambivalenza, ed è per questo che l’arte contemporanea sopravvive a se stessa anche se tutto sembra remargli contro.