Per un imperscrutabile disegno del destino dalla biblioteca municipale G. Tartarotti di Rovereto tempo fa ho preso in prestito questo libro: “Territori dell’umano” di Franco Rella. Libro che ad oggi 24 marzo 2020, non ho ancora potuto riconsegnare a causa della chiusura forzata e del’impossibilità di muovermi dopo l’ordinanza ministeriale che vieta ogni assembramento. Leggendolo mi è venuto alla mente questo studio a carboncino su carta che feci molti anni fa (si veda immagine). Ci sono due personaggi soli in un ambiente spoglio e roccioso sulle rive di un lago bianco e lucente, forse ghiacciato, ma c’è pure un terzo la morte. in quel periodo ero affascinato da Albrecht Dürer e non mi era sfuggita di certo un’incisione intitolata ” Il cavaliere, la morte e il diavolo, (24,5×18,8 cm) datata intorno al 1513.
I due personaggi, nel mio disegno, si rispecchiano uno nell’altro in un gioco di riflessi, che mescolano e confondono le carte. Verrebbe da pensare allo scarafaggio delle metamorfosi di Franz Kafka (1883-1924), se l’animale non fosse più simile ad un deforme grillo, dalla testa di lucertola con la coda di uno scorpione fornito di un lungo aculeo, che non ad uno scarafaggio. L’uomo che gli sta a fronte è invece molto simile al quattrocentesco San Giorgio di Donatello , lo si riconosce dalla spada e dallo scudo, ma a differenza del Santo esso è privo di corazza simbolo della difesa contro ogni pericolo esteriore ma che ha il suo contrappunto in quella interiore. Completamente nudo poggia i suoi piedi spogli sulla terra, di fronte al mostro che ha di fronte. Manca anche il cavallo portatore di vita, forza, abilità, destrezza, valore e coraggio uniti al desiderio,.
Dunque, direbbe Rella “l’uomo nudo,[…] Cadavere prima ancora di essere colpito”, eppure non c’è sgomento nella sua postura , c’è solo lo sguardo fisso sul mostro, quel immondo essere che pur avendo degli occhi enormi non ha le pupille e sembrerebbe essere cieco. Nella leggenda di San giorgio c’è una fanciulla da salvare, il povero Gregor Samsa cerca invece di salvare la sua reputazione, ma in quest’individuo uscito dalla mia matita giovanile , non c’è ne eroismo ne vergogna solo una indifesa umana fragilità. Egli forse guarda se stesso in quei grandi occhi perché il vero grande nemico di noi tutti è dentro di noi.
Oggi, come sempre, miseri esseri umani che ci confrontiamo con l’abisso che ci circonda, mai come adesso a causa della pandemia, un abisso ed una solitudine che ci spaventa, e ci ammutolisce perché tocca le paure e i traumi irrisolti della nostra anima e del nostro vivere comunitario, nel senso più antropologico del termine.
F. Rella non è una lettura facile e consolante, eppure le sue riflessioni possono aprire gli occhi e darci una consapevolezza profonda su questi difficili momenti. Egli, inconsapevole di ciò che sarebbe successo un anno dopo la sua pubblicazione (2019), apre il libro con una citazione di Lucrezio :
“E’ dolce , quando sul vasto mare i venti turbano le acque, assistere da terra al gran travaglio altrui, non perché sia un dolce piacere che qualcuno soffra, ma perché sia dolce vedere di quali mali tu stesso sia privo”.
Lo fa per descrivere la difficoltà del “testimone” di rimanere neutrale, difficoltà di non provare piacere, alla violenza dell’uomo o della natura sull’uomo, rendendosi complice. E’ una verità antica che in questi anni s’è amplificata notevolmente grazie ai media planetari che ci rendono testimoni di immani tragedie, annacquate dagli schermi televisivi e filtrati dal nostro interesse sempre pronto ad essere “dominato” dal nostro telecomando che ne attutisce gli effetti sulla nostra coscienza di spettatori, ma non ci priva di quella complicità sopraccennata. Come se Bastasse un clik a renderci veramente testimoni neutrali?
Sicuramente per quello che riguarda le nostre coscienze e le nostre illusorie sicurezze questo scettro magico che è il telecomando può avere dei vantaggi, ma non per quel che riguarda le nostre esperienze ed i nostri vissuti. Ed ora che come per magia nera, veniamo colpiti nelle nostre città, nelle nostre vie e perfino nelle nostre case, viviamo questi eventi come fossimo davanti ad una enorme galattica “roulette russa”, in cui l’obbiettivo del proiettile è sempre sconosciuto. Mentre la mano, un tempo era ben identificabile nelle nazioni e nei regimi; nei terroristi seppur dalle identità più liquide e globalizzate; nelle calamità naturali che colpiscono arbitrariamente, ora è come non ci fosse un mandante vero e proprio e il nemico è in noi. Con questa pandemia s’è raggiunto il culmine, che è rappresentato metaforicamente dall’invisibilità del killer che non conosce confini, se non quelli dei corpi umani; travalica il nostro sistema immunitario e colpisce nel silenzio più assoluto. Limita la nostra capacità di respirare, minando alle basi sistemi vitali di sussistenza, non da alcuna nozione su quanto durerà il flagello e come le economie e le democrazie reggeranno.
Molti sono i soggetti colpiti a morte da questo flagello, soprattutto deboli e anziani, ma Rella mette in evidenza che la cosa peggiore per l’uomo non è la morte, quella ” adoperata dagli uomini per sottomettere e uccidere altri uomini, ma il terribile stato della minaccia a cui erano sottoposti gli sconfitti di fronte alla forza del nemico, non dissimile dalla minaccia a cui noi tutti siamo messi alla prova in in questo momento, forse ancor più terribile perché in parte sconosciuta. Riusciremo a restare umani?
“Ma la forza che uccide è ancora una forma “sommaria e grossolana” della forza. Più sorprendente e terribile è “quella che non uccide, quella che non uccide ancora”. Rimane come sospesa sull’essere come un destino ritardato, che in ogni momento può realizzarsi abbattendosi su colui che in ogni momento può essere ucciso. Questa attesa, la forza che non ha ancora ucciso e che in ogni momento può uccidere, trasforma comunque l’uomo in pietra. E’ la terribile situazione in cui l’uomo è vivo e tuttavia è già una cosa, si sente in ogni istante cosa come se l’umanità e ciò che fa di lui un soggetto e una persona colasse via da lui lasciandolo pur vivere come mero residuo. (Franco Rella ,Territori dell’umano, Jaka Book 2019)