Con un lapidario post sulla pagina facebook del comune di Nogaredo, datato 13 novembre 2024 (mese dei morti), è stato sancito pubblicamente l’abbattimento dei tre ippocastani che adombravano il lavatoio a Sasso di Nogaredo che secondo un antica tradizione probabilmente sono stati messi a dimora in onore o in ricordo di qualche evento straordinario come la visita di un uomo di potere civile o religioso. Come si evince dalla testimonianze fotografiche nel 1916 erano già li, e fino ad allora regnò Francesco Giuseppe (1830-2016). Stessa sorte maligna, è toccata alla splendida piantumazione di ippocastani del viale d’ingresso a Palazzo Lodron a Santa Lucia di Nogaredo e forse ancor più grave, al tiglio di Marano d’Isera che avrà avuto piu di 300 anni, la stessa età della chiesa costruita nei primi anni del Settecento.
Sappiamo, come ci insegna l’antropologo del paesaggio Eugenio Turri, che “La percezione di un paese avviene attraverso una serie di elementi costitutivi del territorio che impressionano per la loro evidenza, bellezza, grandiosità, singolarità, o perché magari si ripetono, come leitmotiv caratteristici e inconfondibili. Questi elementi visivi, rilevabili nel paesaggio (fiumi, ville, piazze, castelli, santuari …), parte integrante della storia e della cultura degli abitanti, possono essere chiamati con il termine di iconemi”, e sicuramente gli alberi citati appartengono a questa categoria, ma a quanto pare ciò non è stato recepito fino in fondo.
Se grazie a Dio le piante ricrescono, per farlo ci vogliono anni e anni, inoltre certi interventi lasciano danni perenni anche sul patrimonio storico immateriale, che abbiamo il dovere di proteggere. Qualcuno ricorda ancora che accanto al lavatoio del Piazol di Sasso, qualche decennio fa demolirono l’ antica fontana in pietra sostituita dalla nuova, poi tolsero la stradina per fare posto a dei parcheggi e per farlo hanno tagliato un tiglio, deturpando l’equilibrio urbanistico della deliziosa piazzetta, ora lo sradicamento degli ipocastani. Ci hanno messo una pezza con una nuova e velocissima piantumazione e con un piccolo villaggio natalizio con un grande abete reciso e presepe annesso, forse per sanare i sensi di colpa.
Che tristezza! I ricordi all’ombra di quegli alberi, per i vecchi, sono indimenticabili e pregni di emozioni sia perché eravamo giovani sia perché a Sasso le aree comuni, a parte la chiesa e la cooperativa, non erano poi molte. Mio padre, le mie zie e i vecchi contadini, ormai sostituiti da famiglie “Millennials” che si sono costruiti le ville o hanno restaurato lussuosamente le vecchie case, riconoscevano quel posto un importante centro di aggregazione. Ora quello spazio è quasi deserto e presto sara probabilmente si convertirà in un Bike station o parcheggio per ricarica e-biciclette elettriche. Fin ancora negli anni settanta si andava a giocare all’ombra di quelle fronde e ci si arrampicava sui rami sotto l’occhio attento delle lavandaie e dei contadini che abbeveravano gli armenti. Quando i “capifamiglia” si davano appuntamento per andare a gestire gli Usi Civici, o per cominciare qualche attività in comune come spalare la neve dalle strade, il puntello per l’incontro era quasi sempre sotto quegli alberi. Cosi come su quei tronchi venivano appesi gli avvisi, addirittura gli annunci funebri e i volantini delle festività popolari. Attorno ad essi la processione ad anello della prima domenica di maggio accompagnava la Madonna Pellegrina. Non era raro appendervi anche le bandierine di pezza o il fatidici premi dell’albero della cuccagna.
Antichi “riti”, molti dei quali persi già da tempo di cui ormai pochi si ricordano, anche perché pregni di fatiche e sacrifici che il progresso a sanato e spazzato via portandosi anche il bambino con l’acqua sporca come si evince dall’ epigramma di Andrea Zanzotto :«In questo progresso scorsoio/non so se vengo ingoiato/o se ingoio.»
Come spesso accade dall’avviso sembra che i problemi della piante, segnalati da alcuni censiti e successivamente accertati dagli esperti della Fondazione Edmund Mach, fossero di gravità irreversibile tanto da decretare di condanna a morte degli alberi e portare a termine l’operazione speciale il più in fretta possibile per non destare scandalo, o forse per permettere l’allestimento di un luccicante albero di Natale.
Nulla da eccepire su questa procedura, ma penso che sacrificare gli alberi sull’altare del cosiddetto “principio di precauzione” ultimamente sia diventata una moda. Non aiuta la frequenza dei temporali disastrosi, come quello di Vaia, che sollecita la messa in campo di varie misure in forme talvolta semplicistiche che mostrano tutta la loro contraddittorietà. Questo in nome di quei trattati europei sulla sacrosanta politica di sostenibilità ambientale, recepiti a cascata nell’ordinamento giuridico del nostro paese. A pensarci bene però, mi domando se queste norme siano interpretate correttamente dato che essi nascono e si fondano sulla Dichiarazione di Rio del 1992, la quale non prevedeva di certo l’abbattimento degli alberi per salvare il pianeta! So che non è facile governare questa isteria collettiva legata al clima, all’eccesso di informazioni mediatiche e dalla difficoltà di cedere alla paura di denuncie talvolta arbitrarie. Secondo me però dovremmo fare un uso migliore del discernimento e del punto di equilibrio di ciò che è giusto fare analizzando le questioni caso per caso, tenendo conto delle peculiarità culturali e paesaggistiche delle singole comunità e non solo del “codice civile” e dei regolamenti.
Alla luce del grave cambiamento climatico, e dei temuti grandi eventi, per tutelare il benessere dei cittadini, è giusto eliminare i pericoli ma altrettanto corretto e’ preservare il senso di appartenenza identitario, aumentare il verde urbano dei centri storici e non di diminuirlo, anche quando questi borghi sono immersi nel verde. Vale anche per le fontane, se da un lato abbiamo il dovere di risparmiare acqua dall’altro bisogna tenere conto delle persone o degli animali che hanno sete, pensiamo per esempio alle api così importanti per l’ecosistema.
Presi dalla smania di migliorarci continuamente dimentichiamo che siamo già migliori di ciò che pensiamo. Se poi questa ansia di miglioramento si alterna allo stagnante immobilismo davanti ai problemi reali, il rischio di creare pasticci e perdere di vista il punto delle situazioni è estremamente elevato. Umanamente, chi più chi meno, adottiamo tutti noi questa modalità di risposta comportamentale, ma se essa diventa prassi politica degli amministratori che hanno in mano le leve del potere “apriti cielo” – direbbero i nostri Vecchi.
L’intervento delle amministrazioni locali, in questi frangenti, non può essere semplicemente un mero ”atto amministrativo o giuridico” (che rischia di apparire come un’azione pilatesca, coperta dal parere di cosiddetti esperti). Una risposta politica pur essendo puntuale rispetto ai singoli problemi, non esclude un visione “olistica” a 360°, nella quale l’uomo e il mondo vengono visti nell’insieme e non separati. In parole semplici abbassano la soglia di rischio per non fare brutte figure, o incorrere in ipotetiche sanzioni penali e civili, ovviamente non si sbaglia mai, ma a quale prezzo per la popolazione e per il territorio. Personalmente credo che questa soglia si stia abbassato vorticosamente a livelli assurdi in tutti i campi, anche perché ormai il rischio non è più una questione di responsabilità personale del singolo cittadino, il quale dovrebbe anche prestare attenzione a quel che fa, ma è diventato un comodo pretesto degli amministratori per scansare quei risarcimenti civili e penali.
In conclusione se la precauzione è ammessa anche in presenza di un rischio solo “potenziale” credo che la prevenzione contempli anche altre forme di intervento tecnico, amministrativo e civile, spalmato nel tempo, che non sono rivolte solo agli individui ma anche al contesto in cui essi vivono. Forme che possono essere adottate, sono ad esempio assicurazioni, ausili protettivi, manutenzione, educazione, alfabetizazzione, modelli di previsione, Machine Learning e informazioni aggiornate, ma soprattutto una buona pratica di cura e amore per gli animali, le piante, l’ambiente e il paesaggio che ci circonda affinche l’enciclica “Laudarto si”, di Papa Francesco pubblicata nel maggio 2015 possa dare ui suoi frutti.