LA MASCHERA E L’ALBERO
Novembre 27, 2024

a cura di Martina Maddaluno

Se da una parte nasconde dall’altra rivela, e se dissimula, è anche per salvaguarci da ciò che non sapremmo comprendere; la funzione della maschera risiede proprio in questa sua paradossale liminalità, in questo suo esser ponte tra dimensioni che altrimenti rimarrebbero slegate. O almeno, questa è l’idea-territorio che Osvaldo Maffei, allacciatore di mondi, ci propone di esplorare con la mostruosa maschera da lui ideata. Mostruosa, sì, perché proprio come il dio dei boschi Silvano, il demoniaco Krampus, il selvaggio Pan, il dispettoso Salvanel, e tutte le dionisiache creature di selvatica genialità, si situa al confine tra l’urbe e la selva, tra ciò che viene mostrato e ciò che viene tenuto nascosto, tra l’ordinario ed il sovrannaturale, facendosi spaventoso varco per chi osa guardare oltre – non a caso, monstrum significa ‘prodigio’ e deriva da monere, che indica sia l’atto di esortare che quello di ammonire.

Detto ciò, la mostruosità di quest’installazione è tutt’altro che bucolica, almeno nel senso convenzionale del termine. Sebbene l’opera continui a dialogare con la tradizione pagana, il folclore e le grandi narrazioni del mondo antico, lo fa in chiave post-moderna, permettendo così ad eventi che hanno radicalmente cambiato la nostra nozione di limite (quali la recente pandemia) di informare la conversazione. Il risultato, certamente futuristico, è tra il distopico e l’etereo: l’uomo-albero di Maffei emana la stessa animalità dell’uomo selvatico dei racconti popolari, eppure, il suo attire sterile ne fa un astronauta nel verde. Siamo immediatamente proiettati in una dimensione antisettica in cui la maschera sembra non poter essere più lontana dall’albero; l’essere umano dalla matrice che lo genera.

Sembra. Se sia davvero così o se dietro quest’apparente alienazione ci sia in realtà il germe di una nuova possibilità relazionale tra essere umano e natura, resta un interrogativo sospeso – questo enigma è lasciato all’interpretazione dei visitatori, ora co-autori di questo costume-portale che ci sfida a ripensare i confini del nostro esistere.

Opera esposta presso La Biblioteca Civica G. Tartarotti Rovereto
Vasi della Serax disegnati dal disigner Renè Barba